Vi racconto una storia…
C’era una volta una bambina, una piccola ribelle dai boccoli biondi, non stava mai ferma, correva tutto il giorno, era instancabile e iperattiva.
All’età di soli 20 mesi improvvisamente le si gonfia una caviglia e i genitori preoccupati la portano al pronto soccorso dell’ospedale Gaslini di Genova.
Viene ricoverata immediatamente e dopo cinque giorni la diagnosi è: Artrite Idiopatica Giovanile, qualcosa che pochi conoscono ma che è molto più frequente di quel che si possa immaginare, una diagnosi che lascia i genitori a bocca aperta nel momento in cui il futuro della loro piccola creatura inizia a delinearsi molto più difficile di quando mai avrebbero potuto sperare per lei.
Non è indispensabile spiegare di che malattia si tratti, avete tutti Google.
Il futuro da quel giorno sono ricoveri, esami, controlli, fisioterapia e dolore, tanto dolore, fisico e psicologico, non solo per la bimba dai boccoli biondi ma per tutte le persone che la amano, per chiunque darebbe le proprie gambe per poterla vedere ancora correre, saltare, ballare.
Si susseguono i tentativi di cura, le visite specialistiche, lo studio del perchè i suoi anticorpi reagiscono contro il suo stesso corpo. Per alcuni anni la malattia va in stand-by, rimane silente fino a una qualsiasi mattina in cui si sveglia con le caviglie nuovamente gonfie. Le articolazioni si bloccano, si torna in ospedale, si scopre che un banale mal di gola o un’influenza può riacutizzare la malattia.
Il cortisone non basta più, si passa a farmaci più aggressivi, antitumorali a basso dosaggio che dovrebbero uccidere questi anticorpi “ribelli”.
Intanto la bambina cresce e inizia a comprendere che sarà sempre diversa dai suoi coetanei, trova altri modi per esprimere la sua creatività, usa la mente e la fantasia al posto delle gambe per visitare luoghi magnifici, per conoscere, per sentirsi un po’ più simile a tutti gli altri. Questo la rende non diversa ma veramente speciale.
Ogni mese gli esami sono un rito, le visite oculistiche per evitare che queste cellule anomale la rendano cieca da un giorno con l’altro diventano la perfetta scusa per saltare le ore di grammatica, un singolo batterio le costa 10 giorni di antibiotici, la varicella le dura 30 giorni e fa innalzare nuovamente i valori infiammatori. La caviglia destra peggiora, il tempo, la crescita e il continuo essere sottoposta ad attacchi impone interventi più invasivi, continue infiltrazioni pericolose per un’articolazione così piccola, immobilità totale per giorni e l’ultima possibile cura: farmaci biologici di cui nessuno sa gli effetti a lungo termine perchè di recente sperimentazione e introduzione.
Lei è forte, ma inizia ad essere stanca, vorrebbe solo poter godere della sua infanzia, giocare a pallavolo, andare a danza, correre con le amiche, l’unico sport che può fare è il nuoto e nell’acqua fortunatamente trova momenti di pace e il modo per spegnere i pensieri.
Non è mai finita, non c’è nessuna garanzia che finisca, l’ospedale ormai è un luogo conosciuto, il primario del CTO diventa un “ranger” pronto a correre in suo aiuto quando si scopre che le ossa della caviglia si sono consumate e che non si può più aspettare, bisogna intervenire nuovamente e a questo giro la giostra della sua vita le regala 6 mesi di stampelle con un dilatatore infilato nella gamba per cercare di fermare lo sgretolarsi dell’articolazione. L’anno dopo tocca alle ginocchia che a causa della postura scorretta per via del dolore devono essere raddrizzate, altro giro, altra corsa, intervento ad entrambe le gambe. Lunghe settimane per rimettersi in piedi, dolori che nessun esser umano adulto dovrebbe mai provare, urla e pianti a cui nessun genitore dovrebbe assistere.
La bambina ora ha 12 anni, cammina, male ma cammina, non vuole sentirsi diversa e rifiuta di parlare di tutto questo, vuole solo ridere, divertirsi, non vedere più la sua mamma e il suo papà soffrire per lei, porta le numerose cicatrici sulle gambe con fierezza e non vuole vedere la sua invalidità come qualcosa che le impedisca di vivere ma al massimo come una fatica in meno e meno imprecazioni del papà quando cerca parcheggio.
Non può vaccinarsi, un vaccino su di lei è un rischio troppo grande, potrebbe significare un’altra articolazione bloccata, un tornare dall’oculista tutte le settimane e alternare colliri cortisonici a betabloccanti per evitare da un lato l’uveite e dall’altro un glaucoma.
Potrebbe significare qualsiasi cosa…
Non può nemmeno ammallarsi però, deve evitare ogni possibile contagio perchè i farmaci che prende le distruggono anche le difese immunitarie e basta poco a tornare sulla giostra e dover ricominciare a girare.
Lei continuerà a lottare e come lei moltissimi altri bambini e adulti, i suoi genitori le saranno sempre accanto e non permetteranno che lei si debba sentire diversa, ma non accetteranno che se qualcuno decide che vaccinare il proprio bambino può essere un rischio non si prenda la responsabilità che la sua scelta può costare molto ad altri.
La malattia della bambina dai boccoli biondi non danneggia nessuno se non lei stessa, chi non vaccina i propri figli può comunque danneggiarli e fare correre rischi anche più gravi ai figli degli altri.
Questa può essere solo una storia inventata per far riflettere…
O forse no…
Foto all’inizio del post by Alice