Forse sarebbe ora di smettere di pensare in grande e iniziare a pensare “in modo diverso”.
Fin dalla tenera età infatti, ci viene insegnato a puntare al meglio, indipendentemente dal fatto che questo coinvolga il percorso scolastico, le aziende per cui lavoreremo o vorremmo lavorare o le persone con cui ci confrontiamo.
Ma cosa succede se “il meglio” non è ciò di cui abbiamo bisogno?
Non è che, continuando a circondarci di persone, luoghi e istituzioni “prestigiose” alla lunga questo ha un effetto negativo sulla nostra “crescita” personale?
Posso raccontarvi la mia esperienza personale per farvi capire cosa intendo.
Finito il liceo ho fatto il test di ammissione alla facoltà di architettura su suggerimento di mia mamma, in realtà io volevo fare l’accademia di Brera, sognavo di fare la scenografa…
Magicamente (botta di c…) ho passato il test e la mia cara mammina ha insistito talmente tanto dicendo che, una laurea era meglio di un diploma, che non avrei mai trovato lavoro facendo l’accademia, ecc, che sfinita l’ho accontentata e sono entrata nel “magico mondo delle casette di marzapane”…. O perlomeno, questa era la mia illusione… Il risultato è stato che la mia carriera universitaria e’ stata un susseguirsi di anni penosi e faticosissimi con solo saltuari momenti di soddisfazione. Un percorso che ha solo contribuito a chiudere in un cassetto il mio lato creativo e che alla fine, a conti fatti, non è servito assolutamente a nulla perché oggi faccio tutt’altro lavoro.
Se il mio esempio non vi basta perchè “capita un po’ a tutti”, vi racconto la storia di un gruppo di artisti che facendo la scelta di pensare differente ha conquistato il mondo dell’arte e cambiato il modo stesso di fare, guardare e pensare l’arte.
Era il 1860 in quel di Parigi, al Café Guerbois i giovani pittori: Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley e Frédéric Bazille, si riunivano ogni giorno per discutere di: arte, vita e filosofia sotto la guida del più anziano Édouard Manet.
In quel periodo particolare però, l’argomento erano gli “affari” che non stavano andando affatto bene… In particolare, si studiava un modo per esporre le proprie opere al “Salon”.
Dovete sapere che il Salon era un’esposizione periodica di pittura e scultura che si svolse al Louvre di Parigi, con cadenza biennale fino al 1863, ed annuale in seguito.
Era la mostra d’arte “definitiva”. Gli artisti di tutta l’Europa facevano a gara per sottoporre i loro migliori dipinti ai giudici.
Essere accettati significava mostrare per sei settimane le proprie opere a migliaia di persone. Il sogno di ogni artista!
Per ogni pittore e scultore, in quel periodo, il Salon era tutto.
E anche i nostri cinque amici, in quegli anni, si interrogavano su come far accettare un loro dipinto dal Salon. Con perseveranza e decisione ci avevano provato in ogni modo ma le loro opere erano state respinte senza possibilità di appello perché per i giudici della prestigiosa esposizione, i dipinti dovevano essere molto tradizionali, adeguatamente composti e caratterizzati da un design convenzionale. Il pubblico di quell’epoca, per farla breve, si aspettava opere incentrate su soldati, donne bellissime o animali della mitologia o della storia.
Per il gruppo di quelli che poi sono diventati noti come “impressionisti” l’arte era invece esprimere scene della vita di tutti i giorni: una donna che fa il bagno, le strade di Parigi in un giorno di pioggia, un tramonto sul lungomare, insomma, la quotidianità senza unicorni, fate, leoni a tre teste o maschi alfa in divisa.
Oltretutto, a differenza dei dipinti finemente curati che venivano esposti al Salon, il loro lavoro sembrava quasi… Grezzo!
Se avete presente i quadri impressionisti sapete bene come nella loro pittura i colori non venivano sapientamente miscelati ma separati nettamente in pennellate molto definite.
Quindi… Niente tradizionalismo nei contenuti e niente realismo nello stile artistico… Una tragedia su tutti i fronti!
Ma… Monet stava morendo di fame e Renoir non aveva più soldi per inviare lettere ai critici d’arte.
Nessuno era interessato al loro lavoro. Per i suddetti critici loro erano solo “un grande scherzo”.
Andava assolutamente trovata una soluzione.
Nel 1865, seppur ormai demoralizzato, Manet presentò un dipinto intitolato “Olympia”, che ritraeva una prostituta nuda, e sorprendentemente, il Salon lo accettò.
La risposta del pubblico fu: “uno scandalo assoluto!”
Il giornalista Antonin Proust scrisse:
“Solo le precauzioni prese dall’amministrazione hanno impedito che il dipinto fosse forato e strappato”.
Mentre un nudo in un contesto storico era accettabile, la prostituta di Manet, ovviamente, non lo era.
[Tra parentesi, farei notare che “Olympia” ora è uno dei quadri più noti al mondo…]
A questo punto il gruppo di artisti si interrogò a lungo, chiedendosi se fosse sensato, continuare a tentare con il Salon o se invece era tempo di fare qualcosa di unico, qualcosa di “ritagliato su misura” per la loro arte.
Il rischio era sicuramente più alto ma alla fine, Monet, Renoir, Sisley e molti altri pittori, all’alba del 1874, decisero di allestire una piccola mostra dei loro lavori. Non ebbero il pubblico del Salon ma all’esposizione furono presenti circa 350 persone e questo fu più che sufficiente perché proprio grazie a quella piccola mostra divennero noti come gli “impressionisti”.
Qual è la morale?
Che un piccolo pesce in un grande stagno passerà del tutto inosservato e quindi, forse è meglio essere un grosso pesce in un piccolo stagno… O, in ultima analisi, le migliori opportunità, vengono dal costruire con le proprie mani il proprio laghetto.
Rifletteteci se ne avete voglia e chiedetevi che “pesce” volete veramente essere!
BRAVA!
Grazie! 🙂