A Palazzo Grassi – Venezia – Fino al 20/03/2021
Da dove cominciare?
Dal palazzo direi tenuto conto che, nella sua storia, può vantare personalità eccellenti sia del mondo dell’architettura che di quello dell’arte e del collezionismo.
Realizzato tra il 1748 e il 1772 dall’architetto Giorgio Massari, Palazzo Grassi è l’ultimo palazzo costruito sul Canal Grande prima della caduta della Repubblica di Venezia.
L’imponente scalone che ci si trova davanti appena entrati è affrescato da Michelangelo Morlaiter e Francesco Zanchi. e tutti i soffitti sono decorati dai pittori Giambattista Canal e Christian Griepenkerl.
Nel 1840 la famiglia, per ragioni che onestamente non voglio conoscere, Grassi vende il palazzo, che passa da diversi proprietari prima di ospitare, nel 1951, il Centro internazionale delle arti e del costume.
Nel 1983 arriva Agnelli, gran furbone e Fiat acquista Palazzo Grassi per presentare grandi mostre di arte e archeologia affidando i lavori di ristrutturazione all’architetto milanese Gae Aulenti.
Nel 2005 Palazzo Grassi diventa proprietà del collezionista François Pinault e qui inizio a spiegarmi un paio di cose riguardo la mostra che vi presenterò di seguito.
Rinnovato dall’architetto giapponese Tadao Ando, riapre nell’aprile 2006 con la mostra “Where Are We Going?”, che per la prima volta presenta una selezione di opere della ricca collezione d’arte contemporanea e moderna del collezionista francese, tramite mostre temporanee.
Mica roba da poco insomma…

E quando entri in un palazzo così denso di bellezza che fai?
Non pensi sia adeguato mostrarsi come la regina dei dannati in abito da sposa (cadavere)?
Ovviamente sì!



Nell’ultima in particolare ero perplessa per i pannelli anti-rumore a mio avviso totalmente inutili e che tolgono solo luce… “Chissà senza, quanti bellissimi riflessi ci sarebbero stati sul marmo…”]
[Ringrazio Andrea Mambrini che ha saputo con le sue fotografie, cogliere la mia anima da nerino del buio anche se ho tentato di occultarla sotto diversi metri di pizzo bianco…]
Divagazioni di carattere cinematografico horror a parte, veniamo alla mostra “Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu”, realizzata con la Bibliothèque nationale de France e in collaborazione con la Fondation Henri Cartier-Bresson.
Non vi farò una lunga e noiosa lezione di storia della fotografia, vi basti sapere che ritengo Cartier-Bresson il mago della street photography. Leica al collo, sempre in giro per il mondo e per le strade, ha saputo cogliere momenti irripetibili con una tecnica straordinaria.
Non a caso è il fondatore dello Studio Magnum…

Di mostre su uno dei fotografi più noti della storia, ne hanno fatte tante, tenete conto che stiamo parlando di una produzione fotografica di migliaia o forse anche milioni di immagini nel corso della sua discretamente lunga vita (1908 – 2004)!
Ma questa è diversa.
Il progetto della mostra, ideato e coordinato da Matthieu Humery, mette infatti a confronto lo sguardo di cinque curatori sull’opera di Cartier-Bresson e in particolare sulla “Master Collection”: una selezione di 385 immagini stampate ai sali d’argento e di cui esistono solo 5 esemplari, che l’artista ha individuato agli inizi degli anni Settanta nel momento in cui dopo anni e anni dietro l’obbiettivo, ha pensato fosse ora di fare un bilancio del suo lavoro.
La Master Collection
La fotografa Annie Leibovitz, il regista Wim Wenders, lo scrittore Javier Cercas, la conservatrice e direttrice del dipartimento di Stampe e Fotografia della Bibliothèque nationale de France Sylvie Aubenas e (naturalmente) il collezionista François Pinault, per dare vita a questa esposizione, sono stati invitati a loro volta a scegliere ciascuno una cinquantina di immagini tra quelle della Master Collection.
Attraverso la loro selezione, vedrete come ognuno di loro interpreta le opere di Henri Cartier-Bresson e come hanno pensato di rendergli onore con un’esposizione del tutto personalizzata.
Palazzo Grassi ci presenta cinque ambienti diversi come diversi sono i curatori scelti, per colore, musica, disposizione delle fotografie, descrizioni , racconti, considerazioni e quello che alla fine è l’amore di ognuno di loro verso chi è diventato un’icona nel mondo della fotografia.
“Il grande gioco” è stata una sfida per queste eccellenze del mondo dell’arte e lo è anche per noi, perché ci permette di approfittare dei loro diversi punti di vista per ampliare anche la nostra visione oltre che la nostra conoscenza in merito all’artista e al suo lavoro.
Henri Cartier-Bresson viene così presentato, immaginato e raccontato in modo inedito, motivo per il quale se non avete mai visto una mostra delle sue foto o se non lo conoscete è giunto il momento di farlo.
Parliamoci chiaro, magari ad alcuni dell’arte non gliene può fregare di meno e le uniche fotografie che scatta sono quelle della famiglia in vacanza, ma questa mostra è anche un romanzo e se siete allergici anche ai libri non ditemelo, perché altrimenti inizierò a chiedermi per quale motivo state leggendo questo post…
Per chi invece mastica un po’ o è semplice appassionato di arte e fotografia questa mostra stupisce, oltre a fare capire che è venuta l’ora di buttare via reflex e/o smartphone e darsi agli scacchi…
Come sentirsi infinitamente incapaci…
La morale è che se vuoi fare fotografia i corsi tecnici servono a poco.
Meglio buttarsi sui libri di storia della fotografia e sentirsi giustamente, infinitamente incapaci.
Perché per quanto noi cerchiamo di trovare “nuove idee” o ci beiamo di essere bravi e creativi, sappiate che, lui l’aveva già fatto!
E se ve lo state chiedendo, sì, ha fotografato anche i gattini!
Per quanto mi riguarda, si può solo prendere esempio e tatuarsi le sue parole sulla mano che utilizziamo per tenere in mano qualsiasi macchina che consenta di scattare fotografie.
Avete presente Giacometti?
Lo scultore piuttosto noto per i suoi “omini” allungati e “stropicciati” fino allo spasimo?
Ecco.
Ora ditemi voi se qualcun’altro è riuscito a fargli un ritratto che non solo lo rappresenta ma riassume tutto ciò che l’artista è.
“Condannati a camminare.”
Il ritratto dell’artista rappresenta la scultura esistenzialista di Giacometti, interpretata da lui stesso.
Persino Teomondo Scrofalo, Henri Cartier-Bresson l’ha incontrato veramente!

Il viaggio nella mostra di Henri Cartier-Bresson finisce qui ma vi lascerò con un monito perché dalla sua “minaccia” ho imparato una delle regole base della fotografia.

Touché…
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