Non esiste solo una forma di ritratto.
Emozioni MUTE: esprimere se stessi attraverso le proprie mani
Il volto di una persona, l’espressività e la luce dei suoi occhi, quelle rughe che segnano i sorrisi, l’ombra leggera delle occhiaie, la capacità di attivare ogni singolo muscolo mimico, non è l’unico modo in cui una persona parla di sè.
Questi elementi non sono in fotografia, essenziali e indispensabili per raccontarla.
Esistono altre strade che si possono seguire ma per intraprenderle, bisogna sapere come quella determinata persona esprime se stessa, le sue emozioni, ciò che spesso le riesce difficile esprimere a parole e che un attento osservatore potrà leggere chiaramente invece, attraverso… Le sue mani.
PREMESSA:
Ci sono persone, come la sottoscritta, che fino da adolescenti hanno trovato nel disegno, nella scultura, nella scrittura, nella fotografia, nel gesticolare a volte anche eccessivo, il modo migliore per dare sfogo a quelle emozioni, sensazioni, paure, disagio, che rimanevano costrette fra le pareti inviolabili della mente.
Le motivazioni sono tante e non starò a tediarvi con lezioni di psicologia spicciola, quello che posso dire è che continuare a reprimere e costringere il proprio sentire non fa benissimo e in qualche modo, prima o dopo, una valvola di sfogo bisogna trovarla.
La mia sono state le mie mani. Attraverso di loro ho imparato a incanalare ogni energia positiva e negativa, che sia diventata poi un disegno, un dipinto, un testo, una fotografia.
Le mie mani parlano più di me di quanto io possa mai riuscire a fare in altro modo.
Chi mi conosce sa bene che guardando ciò che da queste mani esce, guardando come le muovo, le contraggo, ne abuso spesso in un certo senso, può scoprire molto di più in merito a Barbara che guardandola uscire nuda dalla doccia.
Ho imparato col tempo che le mani possono essere più sensuali di qualunque altra parte del corpo, che possono diventare più forti di un urlo, che riescono a dire tutto in un solo gesto.
Che dalle mani può nascere arte.
Purtroppo però, le mie mani iniziano ad avere qualche problema, l’età e un’ereditaria artrosi deformante che inizia a farsi sentire, non mi permettono più di poterle utilizzare come ho sempre fatto o quantomeno non me lo permettono con la stessa intensità e assiduità.
Rimangono il migliore vettore di me stessa, l’unico che ormai conosco. Perché solo così io riesco a esprimermi ma col tempo non potranno più “parlare” come hanno fatto fino a oggi e come, dolori permettendo, continueranno a fare spero ancora per un po’ di anni.
Così è nato il progetto EMOZIONI MUTE.
Un progetto che è logica conseguenza di quello del ritratto, che apre un orizzonte diverso sul percepire e sull’andare oltre l’immagine che si ha di fronte.
Un progetto che permette di uscire da schemi predefiniti e cliché fisici di cui il web è pieno.
Una sfida per chi sta davanti all’obiettivo e per chi sta dietro, profonda e intima tanto quanto il contatto fisico.
Un progetto fotografico nato, seppur a livello embrionale e forse un po’ incosciente, nel momento in cui ho ho dovuto “lasciare andare” il mio sentire e come spesso accade, il mio dolore.




Come tutto ciò che nasce per caso, la decisione di rendere un esperimento, un vero e proprio progetto fotografico, è stato il “parto” di una delle mie notti insonni.
Se ogni mia emozione passa attraverso le mie mani, ognuna di esse può essere rappresentata.
Come ormai avrete capito però io non scatto né faccio fotografie senza un preciso pensiero e questo si sviluppa di giorno in giorno, cresce e prende forma attraverso prove, studio, analisi…
La fase iniziale, vista la premessa di questo post è stata: disegnare le mani.
Per capirne la posizione, l’impatto, l’energia.




Il passo successivo è stato coinvolgere mia figlia per provare a trasformare un disegno in fotografia.


Compreso che si “poteva fare” ho capito anche che non potevo farlo da sola a meno che nella notte non mi fossero cresciute altre due braccia come Stich ma mi serviva comunque fare delle prove per spiegare a chi mi aiuterà cosa rimbalza nella mia testolina.
Quindi cellulare, autoscatto, gatte in mezzo ai piedi e tanta pazienza.










Da qui in poi è partito il lavoro fotografico e come già dicevo, mettere a nudo il proprio corpo è abbastanza semplice, mettere a nudo le proprie emozioni è decisamente più complesso.
Non potevo del resto completare il progetto da sola e quindi mi sono avvalsa dell’aiuto di Andrea che già conoscete, ci abbiamo lavorato e grazie alla sua indubbia professionalità, un’ottima intesa, una grandissima fiducia uno nell’altro (oltre a un po’ di coraggio) e il fine comune di dare vita a un progetto, quel progetto nato da una mia idea ma cresciuto e arricchitosi attraverso il confronto di due menti creative stimolate dalle sfide difficili e’ diventato realtà’.
Emozioni Mute e’ ora fra “le mie mani”.
Il backstage lo trovate come sempre nel Reel su Instagram.
Naturalmente un progetto fotografico non si esaurisce con “gli scatti” e successivamente allo shooting e’ stata la volta della progettazione dei feed, del format, della preparazione di un piano editoriale di pubblicazione per Instagram e per questo blog. Scelte, un nuovo confronto grafico/narrativo fra soggetto e fotografo, il seguire insieme una linea narrativa possibilmente coerente e chiara.

Andrea (@agiacol72 su Instagram) dice spesso una cosa: la fotografia va pensata come idea.

2 pensieri su “Come nasce e cresce un progetto fotografico”