Lo Smart working: ciò che non si dice

Lo Smart working: ciò che non si dice ma si dovrebbe dire

Premessa doverosa: io vivo da sola con due gatte e sono in Smart working dal 23 febbraio.
Ci resterò fino a data indefinita.

Tutti a elogiare lo Smart working come se fosse il lavoro del futuro, tutti a proclamarne gli indiscutibili vantaggi, il risparmio sui mezzi di trasporto per andare a lavoro, la tranquillità di lavorare dalla propria casa e poi… E poi quali altri?
Veramente crediamo che lo Smart working sia la panacea di tutti i mali e soprattutto porti dei reali benefici?
O questo è quello che “piace” raccontare?

Sicuramente ha enormi vantaggi per le aziende che risparmiano in elettricità, riscaldamento e condizionamento ad esempio ma per i lavoratori e’ veramente conveniente a lungo termine?

NO

Se si fosse adottato, salvo nel periodo di lock down, una soluzione “flessibile” alternando lo smart working alla presenza in ufficio probabilmente si ma così, almeno nel mio caso non è stato.

Pertanto vi elenco le motivazioni, che sfido chiunque a contestare, per cui lo Smart working sta danneggiando fisicamente e psicologicamente chi, come me, lo sta subendo da oltre 8 mesi e ancora a lungo lo dovrà subire.

1.Aumento delle ore di lavoro: in modalità Smart working non si hanno vere e proprie pause, si perde la cognizione del tempo perché non c’è la “ campanella” di inizio e fine orario di lavoro, ne vedi i colleghi che si alzano per andare a mangiare o tornare a casa.

2. Clienti, risorse, responsabili che come te “lavorano” nella stessa condizione, ti chiamano a qualsiasi ora, che tu sia in pausa, che sia terminato o non ancora iniziato l’orario di lavoro, che tu sia in video call o che sia semplicemente al bagno.

3. La produttività che inizialmente i primi mesi per le ragioni sopra citate, ha un picco, col tempo inevitabilmente scende perché viene a mancare il contatto/confronto di persona.
Le email infatti non hanno “tono/voce” e non è sempre facile comprenderle in modo chiaro. In video call non si può passarci le giornate ne, come umano fare, perdere tempo a scambiarsi pareri o anche semplicemente due chiacchere che permettano di scaricare tensione.

4. Si perde un sacco di tempo (con inevitabile generazione di ansia…) in attesa di risposte perché ovviamente il lavoro da remoto e più difficile da gestire.
Se prima bastava alzarsi dalla sedia per chiedere al collega/referente anche solo, se il report lo voleva in excel o power point, ora bisogna attendere risposta via email e questo accade per l’approvazione dei documenti, eventuali rework, richiesta di spiegazioni, indicazioni di qualsiasi tipo e genere per cui “dal vivo” bastava parlarne davanti a un caffè.

5. Stessa cosa accade con i clienti, il rapporto “umano” dato dall’incontrarsi ciclicamente per proporre nuove soluzioni, discutere dei progetti, valutare nuove attività, coordinare modalità di lavoro, viene ridotto a massimo 30 minuti di video call dove, come per le email, la piena comprensione di toni e intenzioni e’ limitata.

Viene a mancare il “contatto” con la propria azienda. I responsabili, soprattutto se l’azienda è grossa, non possono passare il tempo a parlare con ogni dipendente o dare risposte a tutti.
Si limitano quindi inevitabilmente a sempre più rare email motivazionali e/o di spiegazioni, che dicono tutto e nulla e che benché ne sia chiara l’intenzione “incentivante”, purtroppo se non seguite da un impegno concreto verso le risorse, messe a dura prova dalla situazione di preoccupazione generale, alla lunga è come se non fossero mai state inviate.

Risultato: alienazione e perdita motivazionale.

Lato economico
  • I buoni pasto, si sa, vengono erogati per politiche aziendali solo se si è in presenza, pertanto ogni mese, ogni dipendente, perde centinaia di euro che comunque spende per provvedere al proprio sostentamento “a casa”.

  • Esiste comunque la cassa integrazione che nella migliore delle ipotesi è a ore ma non si percepisce perché se il lavoro c’è, debba perdurare questa modalità.
    Cassa integrazione che in molti casi non viene anticipata dalle aziende oltretutto.
    E’ chiaro è lecito, per certi aspetti, che le aziende devono “premunirsi” da eventuali disdette contrattuali vista la situazione economica attuale sempre più grave per tutti, ma dovrebbero anche pensare che se una risorsa non è motivata o “lavora” in una condizione di costante preoccupazione economica, non sarà nelle condizioni di mantenere produttività e qualità del proprio lavoro ai livelli consueti.

  • Un abbonamento annuale ai mezzi di trasporto per raggiungere l’ufficio nella città di Milano costa circa 400 euro, nel 2020 ATM restituirà sotto forma di prolungamento dell’abbonamento i soli due mesi di lockdown (che poi sono stati tre), di conseguenza circa 300 euro sono stati letteralmente “buttati via”.

  • Lo Smart working lato lavoratore implica un aumento di quasi il doppio delle spese di riscaldamento/condizionamento, elettricità, alimenti e prodotti per il mantenimento della casa (inclusa igienizzazione).
Salute
  • Non posso fare una stima ma dubito siano in molti quelli che a casa propria dispongono di uno studio o uno spazio adeguato al lavoro. Intendo con questo, scrivania, sedia ergonomica, luci adeguate, monitor, distanza dallo stesso e spazio per l’appoggio corretto delle braccia.
    Tutte insomma quelle simpatiche norme che ci insegnano nei corsi di sicurezza per il lavoro.
    La maggior parte lavora con dei note book aziendali diversamente da quanto accade in ufficio dove ha a disposizione monitor e dock station.
    Questo comporta problemi alla vista e alla schiena/colonna vertebrale in primis.
    Alla muscolatura che risente dell’assenza di movimento anche solo per il tragitto casa/lavoro/casa o pausa pranzo.
    Al sonno perché in assenza di attività fisica e con le lecite preoccupazioni del fronte economico/lavorativo che affollano la mente costantemente, dormire è sempre più difficile.
    Alla qualità dell’aria che respiriamo perché, se si lavora in casa, soprattutto d’inverno non è possibile areare costantemente i locali.
    Tutto questo aumenta proporzionalmente il consumo di farmaci: ansiolitici, antinfiammatori, farmaci naturali per aiutare il sonno e quant’altro.

  • Alimentazione scorretta: l’assenza di ritmi definiti come si diceva nei primi punti obbliga il lavoratore a mangiare in fretta e male.
    Avendo tempi ristretti per potere cucinare e essendo costantemente interrotto da chiamate, email o necessità di colleghi/clienti ecc e’ inevitabile che a farne le spese siano le proprie necessarie e indispensabili pause.


    Mancata cura di se stessi. Sempre a causa di quanto già esposto nei punti precedenti, il perdurare di una condizione di “reclusione” alla lunga fa perdere la cognizione del proprio aspetto e del “mantenersi in forma”.
    Non essendo infatti necessario essere di fronte ad altre persone si tende a occuparsi sempre meno di se stessi con inevitabili danni, anche in questo caso, alla propria salute.

Se è pur vero, che soprattutto in merito ai punti riguardanti la salute, ogni lavoratore può cercare di reagire occupandosi maggiormente di se e anche vero che per farlo deve avere la disponibilità economica e di tempo che i primi punti elencati, come abbiamo visto, non consentono.

Nella situazione pandemica attuale lo Smart working e’ necessario, su questo non vi è alcun dubbio ma dovrebbe esserci da parte di tutti, in primis dal governo, dalla regione e poi a scalare fino alle aziende, la volontà di renderlo maggiormente gestibile e “salubre”.

La dico semplice, non mi interessa avere una bicicletta se poi il mal di schiena mi impedisce di usarla, non mi interessa avere bonus di ristrutturazione se sono in affitto e già faccio fatica a pagare quello.
Non dovrei per forza avere il reddito di un clochard per usufruire di bonus che migliorino la mia vita lavorativa e non.
Non devo essere uno studente o un docente per arricchire la mia cultura nel poco tempo libero potendo acquistare libri a prezzi convenienti.

Se sono in cassa integrazione non dovrei aspettare due mesi per avere il 60% delle ore lavorate pagate.

Potrei andare oltre, dicendo che i figli costano e io ho una figlia seppure sia separata. Una figlia che sta perdendo ore di scuola per una dad che ancora oggi è nella maggior parte dei casi “imbarazzante” e seppure abbia già speso circa 300 euro di libri di testo che a fine anno saranno quasi intonsi. Purtroppo però non ho il tempo per sopperire alle carenze scolastiche ne’ posso permettermi “ripetizioni”.

Potrei dire molto di più ma mi fermo qui e vado a bermi un caffè prima di riaccendere il pc e rientrare nel loop ormai infinito, dei disagi dello Smart working.

PH Cristiano S.
Grazie per avermi concesso l’utilizzo di una tua fotografia.

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2 pensieri su “Lo Smart working: ciò che non si dice

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