Canova 2020 – L’estasi del tormento

No, tranquilli, non vi farò una lezione di storia dell’arte anche se male non farebbe.

La purezza, la leggiadria, la perfezione delle sculture di Antonio Canova sono note in tutto il mondo, pensate che la sua meticolosità gli è valsa il soprannome di nuovo “Fidia” (notissimo scultore greco in caso non aveste idea di chi sia…).

Credo che introdurrò questo progetto fotografico con le parole di Giulio Carlo Argan che naturalmente non devo ricordarvi essere un personaggio unico nel suo genere.
Oltre infatti ad occuparsi di politica ed essere stato docente italiano, Argan è autore di libri di storia dell’arte che chiunque l’abbia studiata non ha potuto esimersi dal possedere. (Sottoscritta inclusa).

Ed ecco le sue parole riguardo Canova:

«la forma non è la rappresentazione (e cioè la proiezione o il «doppio») della cosa, ma è la cosa stessa sublimata, trasposta dal piano dell’esperienza sensoria a quello del pensiero.
Perciò può dirsi che Canova ha compiuto nell’arte il medesimo trapasso dal sensismo all’idealismo che, in filosofia, ha compiuto Kant o, per la letteratura, Goethe e, per la musica, Beethoven»

In questo mio progetto trasporto le opere dello scultore nel futuro, in quel futuro che è per noi il nostro oggi, dove la perfezione della forma non sono più solo sublimazione con l’intento di generare un pensiero anche critico, ma una necessità.
L’apparenza ricercata attraverso ogni possibile costrutto virtuale e reale, la post produzione portata al limite, i filtri che sempre più spesso abbondano sopra il soggetto, coprendo ogni sua particolarità e difetto fino a renderlo solo una parvenza di ciò che realmente è.

L’estasi del continuo levigare con ostinazione la nostra immagine, per avere attenzione e consenso in un mondo in cui i modelli di riferimento con cui siamo costantemente bersagliati e l’idealismo, sono freddi come le sculture di marmo di Canova.

Avete visto quelli che taluni definiscono ritratti, ritratti ambientati e/o fotografia glamour, che ci sono in giro?
I social ormai sono diventati il paradiso terrestre della bellezza, il fulcro della chirurgia virtuale ottenuta attraverso preset, fluidifica, plasma, leviga, appiattisci, ingrandisci, snellisci, illumina, brucia…

Anche la modella più perfetta inevitabilmente passa tra le mani di quelli che una volta erano gli allievi dei maestri scultorei per essere “ripulita”, perché un brufolo o la più piccola smagliatura rovinerebbe l’incanto.
Perde le ombre, i contrasti, l’espressione, la sua unicità.
Diventa una creatura costruita ad arte per gli occhi di chi guarda, per stimolarne gli impulsi più primordiali.

Nessuno è esente da questa nuova forma di chirurgia estetica virtuale perché il continuo confronto con questi modelli di perfezione porta inevitabilmente a iniziare a utilizzare gli stessi strumenti. Chiunque talvolta ha bisogno attenzione e di essere “riconosciuto” in un modello sociale, seppure ormai distorto.
Il sentirsi inadeguati, il non essere all’altezza, la diversità, porta quindi a ridisegnare la nostra figura sacrificando ciò che realmente siamo.
Sarebbe infatti una gigantesca bugia dire che non abbiamo bisogno del consenso altrui o che non fa piacere essere “adulati”.

Il problema è che così facendo diventiamo esseri privi di pensiero, da guardare e basta, contenitori vuoti tormentati dalla continua ricerca di una perfezione imposta.
L’estasi del tormento.
Un’estasi che nasce dal tormento personale che proviamo quando vediamo ciò che ci viene proposto attraverso i social e i media e che ci riempie solo nel momento in cui ci trasformiamo nell’ideale comune.
Il tormento della perfezione e l’estasi del riuscire a apparire perfetti.

Canova faceva esattamente questo: trapasso dal sensismo all’idealismo.

Per spiegarvelo meglio, brevemente, vi racconto come nasceva una delle sculture del Canova:

Lo scultore faceva in creta il suo modello, una volta gettatolo nel gesso, affidava il blocco ai suoi giovani allievi.
Erano loro a levigare per giorni per portare le opere del maestro a un tale grado di finitezza che sì sarebbero dette terminate, se non fosse che, i ragazzi dovevano lasciare ancora una piccola grossezza di marmo, la quale era poi lavorata da Canova stesso, che si preoccupava, di eliminare le imperfezioni residue e di rifinire l’opera con gli ultimi e più decisivi ritocchi.
Seguiva, infine, l’intervento del lucidatore, che rendeva lucide le superfici conferendo loro una diafana lucentezza.
E’ famosa anche l’abitudine di Canova di applicare sulle parti epidermiche dell’opera una speciale patina, così da simulare il colore dell’incarnato e dare alle proprie statue una parvenza di vita.

Questo non è esattamente quello che ognuno di noi fa attraverso filtri o che il fotografo fa attraverso la post produzione o nel mondo reale, quello che il chirurgo plastico fa con la nostra persona?

Trapasso dal sensismo all’idealismo.
Non è più sentire il soggetto ma idealizzarlo.

Il mio omaggio al maestro è stato quello di ricercare nelle sue sculture, come del resto ha sempre fatto lui, la perfezione ma una nuova forma di perfezione, più intima e attuale.
Una perfezione che nasce dall’accettazione di se stessi e dall’idealismo personale e singolare.
Chi sono, chi voglio essere e come voglio che gli altri mi vedano, perfetta ma perfetta nel mio essere vera.

Quell’idealismo personale che torni a sublimarsi in un’esperienza sensoriale, dove il corpo non è solo immagine ma pensiero, dove le imperfezioni parlano e raccontano.
Un’immagine che comunichi e faccia pensare.

Siamo tutte “veneri”.
La venere che vedrete nelle fotografie di questo progetto è una “venere” imperfetta, sporca di colore, con le sue cicatrici e imperfezioni, con i suoi eccessi di disordine alimentare nelle pieghe e nelle smagliature della pelle, che non possiede le misure canoniche dell’ideale maschile e non potrà mai sfilare in passerella, che porta la sua età nelle borse sotto agli occhi e nelle rughe.


Ho voluto cercare di rappresentare l’evoluzione nel tempo della figura femminile che deve comunque continuare a combattere contro dei canoni estetici che l’hanno accompagnata nel corso della sua vita, generando insoddisfazione e dolore, il tormento di non essere come si dovrebbe.

Una figura femminile che sta iniziando ad alzare la testa, a rendersi conto che forse non vale la pena trasformarsi per altri permettendogli di levigare anche il proprio pensiero.
Grazie anche al movimento “body positive” la donna inizia a guardarsi intorno e cercare di capire se è veramente il caso di tormentarsi così tanto e di cercare l’estasi proprio nutrendo quel tormento.

Nelle mie foto ho voluto abbattere i giudizi e pregiudizi nei confronti del corpo femminile perché ogni donna ha diritto di sentirsi una venere e perché ogni donna ha molto da dire con il suo corpo, quale e come esso sia ma soprattutto ha molto da dire con il suo pensiero.

Le fotografie che vedrete pertanto sono ritoccate solo nel colore della pelle che è stato desaturato per renderlo più simile al marmo delle statue di Canova ma che ha mantenuto quell’ombra di umanità perché noi non siamo statue.
Sono state “toccate” in termini di luce per enfatizzare il contrasto ma la donna che è in quelle foto sono io come potreste essere voi.

Preparare e scattare queste fotografie che sono un “processo creativo” fatto di idee, studio, ricerca, attenzione, lavoro e coraggio nel mettersi in gioco, non è stato semplice ma se il messaggio che sto cercando di dare arriverà e farà sentire non più bella/o ma più vera/o alcuni di voi, ne sarà valsa la pena.

Canova 2020 – L’estasi del tormento


Perchè in fondo siamo tutti venere e marte e perché spero che per ognuno di noi prima o poi resti l’ESTASI senza più il TORMENTO.

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