Perché mollo [a tempo indeterminato] la fotografia.

Negli ultimi due anni mi sono dedicata tanto a riprendere in mano quella passione che coltivo fin da bambina.

Ho messo a disposizione per chiunque ne avesse bisogno o le volesse, le mie competenze che, seppur rischiando di peccare di egocentrismo, non sono poche. Ho conosciuto diversi fotografi di cui pochi attualmente hanno ancora la mia stima e “PH da social” che di fatto non l’hanno mai avuta.

Ho cambiato macchine, ho fatto un corso di street, ho ripreso in mano libri che avevo già letto e altri ne ho acquistati per colmare le lacune o ciò che una memoria che ormai ha “una certa”, ha sovrascritto negli anni con tante, troppe altre cose da dover ricordare.

Ho scattato tanto, forse troppo, mi sono data degli obbiettivi e ho cercato di perseguirli, ho analizzato quello che stava accadendo nel mondo e l’ho tradotto in progetti intimisti, ho re-imparato a osservare e a non schiacciare semplicemente un tasto. Ho persino perso giorni a mettere insieme i miei “pensieri fotografici” e le immagini che ne sono scaturite prima qui su questo blog e poi in un libro.

Ho studiato il social media management non solo per lavoro ma anche per cercare di dare visibilità alla mia “arte”.

Quindi voi, a questo punto, vi starete chiedendo: perché molli allora?

Perché prima di tutto, in questi due anni mi sono resa conto che il mondo della fotografia come, in fondo, tutto quello dell’arte, e’ una casta, una loggia massonica riservata a pochi eletti.

Credevo di averlo imparato già ad architettura ma col tempo l’ho dimenticato o forse mi sono illusa di essere abbastanza brava per farcela.

Ma quello della fotografia non è un mondo meritocratico ne’ un mondo che da valore al reale contenuto.

Parole forti, me ne rendo conto ma adesso vi elenco cosa ho visto in questi due anni che mi ha portato a prendere la reflex e chiuderla in un armadietto poche settimane fa.

Al primo posto ci metto quel fiume in piena di gruppi Facebook dove chiunque e’ fotografo e dove il valore di una fotografia dipende da quanto spendi in workshop, corsi, eventi, iscrizione alle associazioni dei fondatori e così via… Attività oltretutto, organizzate, gestite e promosse da chi non ha, prima di tutto, una base culturale spesso nemmeno accennata, conoscenze tecniche limitate e nessuna capacità di leadership per creare una community efficace.

Presunte “community” oserei dire, dove regna il banale, il visto e rivisto e se vogliamo addentrarci nello specifico, un mondo fatto di preset tutti uguali, molti dei quali acquistati già belli e pronti in rete, post produzione spinta e paroloni come: light painting, bracketing, focus stacking, noir e fine art, che regnano incontrastati per appagare l’egocentrismo di chi ha letto qualche “manuale for dummies”.

Al secondo posto e i social sono in gran parte causa di questo male, ci metto la povertà di contenuto e l’addomesticamento costrittivo a cui viene sottoposto chiunque vorrebbe avere un minimo di visibilità e riconoscimento.

Gattini, tramonti, cascate d’acqua con effetto seta, la fioritura delle lenticchie a Norcia, i girasoli e le balle di fieno, le tette e culi spacciate per glamour che arricchiscono l’immaginario degli onanisti, l’effetto bokeh, le gondole di Venezia, il duomo di Milano regolarmente fotografato riflesso in improbabili pozzanghere, gente che cammina, che parla al telefono, che mangia, che si infila un dito nel naso o si gratta il posteriore, giochi di ombre e luci per cui a volte mi viene il dubbio che le persone vadano in giro con delle lampade in tasca.

Quest’ultima la chiamano Street Photography…

Capite bene che per chi la fotografia l’ha studiata per anni e non ha la pretesa di essere una grande fotografa ma perlomeno cerca di dare e/o trovare un senso nel momento in cui inquadra e scatta, tutto questo è abbastanza inaccettabile.

Il tutto senza nemmeno parlare di orizzonti storti, composizioni a caxxo, saturazione da mal di testa e nitidezza talmente alta che probabilmente se osserviamo attentamente, riusciamo a vedere il tizio davanti alla vetrata del grattacielo a svariati metri da terra, intento a trombarsi la segretaria.

Fino a qui però stiamo parlando di ciò che si trova sui social e immaginiamo per un momento di fregarcene bellamente e come amo ripetere, uscire da questo girone infernale e riportare la fotografia dove è sempre stata: mostre, gallerie, libri, esposizioni.

Bene… L’estate scorsa ho aderito a un concorso fotografico con un progetto che mi ha portato via almeno due mesi di tempo, studio e sì anche soldi. 30 fotografie finali scelte fra più di 150, uno storytelling impegnativo, un power point di presentazione approfondito e arricchito di testi.

Non pensavo onestamente di vincerlo, non ho così tanta stima di me ma mi sarei aspettata quantomeno una risposta anche del tipo: bel progetto ma non in linea con le nostre aspettative.

Pensate che, lo stesso progetto, l’ho mandato anche al sindaco di Milano che dopo due giorni mi ha risposto ringraziandomi e mostrandomi il suo apprezzamento.

Chi invece ha indetto il concorso non si è sforzato nemmeno di scrivere tre righe…

Altro giro altra corsa, a sto giro parliamo di un progetto nato da un gruppo di fotografi incontratosi in quella meteora social, scintillante ma di breve durata, che si chiama ancora oggi “Clubhouse”.

Progetto nato da una bellissima idea, quella di dare voce a un pensiero. Nessun nome, tutti uguali, fotografie che avrebbero dovuto essere un collage di voci che gridavano un’idea. Promesse altisonanti di organizzare mostre, portare il progetto in giro per l’Italia e addirittura l’Europa, garanzia che tutti seppure anonimi avrebbero avuto la possibilità di partecipare e diventare “quel pensiero”.

Poi si è iniziato a parlare di costi, di soldi, di scegliere le foto migliori dei soliti fotografi che si sa, vendono. Si è iniziato a parlare di guadagno mascherato dal “sostenere le spese”.

Il pensiero è naufragato nell’interesse economico e chi ci aveva creduto, come me, ha dovuto rassegnarsi all’idea che come sempre “vince chi porta soldi” non chi porta pensiero, idea, contenuto o emozione.

In parte queste esperienze mi erano bastate per comprendere che rimango la solita ingenua che pensa sia più importante nelle arti, quali esse siano, il messaggio. L’illusa che spera che almeno ogni tanto, si guardi anche “oltre”.

Invece no, quest’inverno vengo contattata da un circolo fotografico che decide di dare visibilità a uno dei miei progetti più intimisti: l’alfabeto del lockdown.

Progetto vissuto e sentito con le ripercussioni psicologiche che credo molti conoscano fin troppo bene. Progetto a cui tengo in modo particolare per ovvie ragioni perché in qualche modo mi ha permesso di sopravvivere.

Mi scrivono loro, mi dicono quanto gli è piaciuto, che vorrebbero pubblicarlo e io sono quasi sul punto di credere che forse esiste ancora chi non si ferma al “quanto posso guadagnarci”, li ringrazio, mi sento onorata, rispondo e… “Se vuoi puoi partecipare ai nostri incontri e iscriverti al circolo”.

Dico che ci avrei pensato e che purtroppo non ho moltissimo tempo a disposizione (nemmeno tanti soldi a onor del vero).

Non devo dirvi che chiaramente non li ho più sentiti e il progetto non è stato mai pubblicato vero?

Tra una e l’altra di queste fantastiche esperienze che abbatterebbero già da sole persino un colosso di buone intenzioni, ho fatto più di uno shooting, per amici, per lavoro, per piacere. Un buco nell’acqua… Molti degli scatti non li ho mai visti nemmeno utilizzare/valorizzare/condividere ma soprattutto non gli si è mai dato il giusto valore, non si è riconosciuto l’impegno, la capacità, il senso e tutto quanto c’è dietro e dentro, tutti quegli anni di esperienza nel “sentire” prima di scattare, che a un occhio attento strabocca dai margini.

Del resto non si è mai riconosciuto nemmeno il mio essere [anche] fotografa. Non mi si è mai data l’opportunità di provare a fare ciò che amo fare, che faccio con passione e non per portare a casa lo stipendio. Non si è cercato di sfruttare e di lasciare libera la troppa creatività che possiedo, seppure questa, abbia già dimostrato di essere in grado di ottenere risultati tangibili.

Si è preferito metterla a tacere, rinchiuderla in una enorme bolla lontana dal quotidiano. Si è lasciato che si assopisse, ricoprendola di spessi strati di dovere e razionalità imposta senza permetterle di partecipare a quella che chiamiamo “vita”.

Perché la realtà è che puoi essere una brava o anche solo una mediocre fotografa ma esporrai o avrai visibilità solo se conosci qualcuno che in quel mondo ci vive e che, quale sia la più o meno nobile ragione, decide di farti entrare.

O se paghi… Ti affitti un locale, ti stampi le tue foto, organizzi e sponsorizzi la tua mostra possibilmente pregando o pagando qualcuno con un nome, perché sia presente e/o sparga la voce e poi… Speri nel miracolo.

Chi un po’ mi conosce sa bene che non sono disposta a pagare per qualcosa in cui credo e per qualcosa che “pago” già in termini di tempo, studio e realizzazione.

Non sono disposta a “pagare” in nessun modo perché di forme di pagamento ne esistono tante e alcune non prevedono il denaro… (So che avete capito).

A tutto questo e altro che al momento non mi viene in mente, si è aggiunto:

  • un egocentrismo che supera ogni limite, per cui opinabili “PH” si sono sentiti offesi per un parere da loro stessi richiesto che non si è rivelato, come probabilmente pensavano o sono abituati, un elogio alla loro bravura e professionalità. Egocentrismo che ha abbattuto anche le più basilari regole di buona educazione e che non si è limitato all’unfollow di rito che spesso consegue il mio non essere falsa e paracula,
  • un’ostinazione a mio parere “perversa” nell’affidarsi e affidare le proprie non-capacità al mezzo. Reflex, mirrorless, obbiettivi e strumentazione software sempre più costosa e performante che può dare molto ma non sostituire la testa di chi c’è dietro l’obbiettivo,
  • una limitazione della fotografia al ciò che piace alla gente e fa vendere, a costo anche di ripetere le stesse foto, le stesse idee (???) e soprattutto, che ha portato al copiare senza alcuna remora (ne ritegno) ciò che ottiene like. La spersonalizzazione assoluta, la clonazione di quel bello eletto da un popolo di bassa/media cultura.

Voi che dite, può bastare a fare passare la voglia?

Direi di sì.

Tanti avrebbero insistito spinti da diverse motivazioni, io no, perché siamo onesti, nessuno fa niente per nulla fosse anche solo il riconoscimento di una creatività e del possedere un cervello (… e una mente e un cuore come direbbe il buon Bresson) oltre a una macchina.

Troppo spesso ormai si da per scontato troppo… Una semplice condivisione o un semplice apprezzamento di qualsiasi tipo e in qualsiasi modo, può mantenere viva, in chi ci crede, la sua passione ma non è questo il mondo in cui viviamo… Ricordo a chi è arrivato a leggere fino a qui, che i grandi artisti che ora studiamo nei libri di storia dell’arte, in vita non avevano nemmeno il pane per mangiare…

Ora oltretutto e grazie anche a te Zuck, viviamo nell’epoca del superficiale, dell’avere senza mai dare. Dell’imporre e pretendere di avere ragione armati solo della propria ignoranza.

Finita questa, a tratti prolissa, lettera di addio, (almeno per un po’) al mondo della fotografia mi rimane solo un po’ di amaro in bocca nel pensare cosa è diventato e cosa ragazzi/e come mia figlia si troveranno a dover combattere per mostrare di che pasta sono fatti.

Forse però proprio loro saranno in grado di cambiare le cose e forse, un giorno sorrideremo (o almeno io lo farò) vedendo nuovi nomi apparire nel mondo dell’arte anche fotografica, probabilmente sotto forma di NFT.

A 50 anni io direi che ho dato e continuerò a dare ma solo per quelle persone per cui ha senso farlo.

Naturalmente mi aspetto, dopo che avrò sparso in rete il mio pensiero, l’unfollow copioso e silenzioso di chi si è sentito chiamato in causa. Ma la vedo come selezione naturale.

Mollo proprio perché IO sono diversa.

[Si ringrazia Alessandro per l’immagine di copertina]

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15 pensieri su “Perché mollo [a tempo indeterminato] la fotografia.

    1. Sono assolutamente onesta, questo post e’ uno sfogo, e’ un sasso tirato non in un mare troppo grande ma direttamente in faccia a molti. Come ormai avrai capito questo blog non è spesso per altri ma per me stessa, e’ un po’ il mio diario e se voglio dire qualcosa la dico con buona pace di chi può sentirsi offeso 🙂 penso anche che forse qualcuno leggendo potrà “intervenire” per invertire una rotta che non deve essere il futuro dei nostri figli e si sa, per i figli si fa qualsiasi cosa.

      1. Così l’avevo interpretato. Per questo mi sono sentito di intervenire. Credo tu abbia un grande talento, ma che te lo dica io è irrilevante, ché sono nessuno. Mi andava di dirtelo, l’ho fatto con piacere. Per ciò che riguarda l’arte in questo paese, è solo squallido meretricio. Potremmo discuterne per mesi, alternando ad ogni frase una buona dose di magnesia. Solo mi piace vedere le tue foto. 🍷🍷

      2. Ma è probabile che qui continui a metterle perché è un luogo ancora un po’ neutro rispetto al marasma del “meretricio” come giustamente lo definisci. In ogni caso ti ringrazio, come ho scritto, alcune parole servono non importa da chi provengano 🙂

  1. Capisco e comprendo perfettamente il tuo stato d’animo… Personalmente è tanti anni che fotografo sin da ragazzina con 7na vecchia analogica e poi via di seguito, una compatta per giungere 8nfine alla Reflex, con questo non sono una brava fotografa mai ritenuta tale, mi piace fotografare innanzitutto per me stessa per immortalare quel momento e quell’incontro che mi ha destato, tanto è vero che 16ando riguardo foto scattate anni or sono, ricordo esattamente la sensazione di quel momento, ma sono più che mai convinta che quell’emozione non sono mai riuscita con la foto a comunicarla agli altri, per cui puoi ben capire che mi ritengo una fotografa piuttosto ciopeca. Anni addietro anch’io causa 8 sociale ho smesso di fotografare perchè notavo in tutte le foto una gran pist produzione, cosa che le mie foto jon hanno mai visto e te lo dico da grafica quale sono con tanto di studi al riguardo, personalmente ho sempre pensato che un fotografo deve fare il fotografo e u grafico deve impiegare le sue capacità in altri ambiti tipo pubblicità etc. Questa cosa mi aveva demotivata poichè delle mie foto non si capiva se si o j9 eran9 passate in post produzione, al che anch’io ho abbandonato per diversi anni la macchina fotografica, qualche foto per me di tanto in tanto la facevo con lo smart. Da un anno e mezzo invece ho ripreso a fotografare con la stessa passione che non mi ha mai abbandonata e sai che ti dico? Di tutti gli altri più post produttori che fotografi me ne frego, le mie foto sono come sono ma di sicuro sono autentiche come le ho scattate sono rimaste!!! Tutto questo per dirti che s3 ho ripreso io in mano la Reflex nonostante sia una fotografa da quattro soldi per usare un eufemismo, tanto più tu che sei davvero brava nell’ambito fotografico, con il cuore ti dico: non mollare, jonnappendere la tua o le tue macchine fotografiche al chiodo. tu nella fotografia hai stile da vendere come si suol dire, per degli 8mb3cilli non vale la pena che tu rinunci alla tua passione!!! Buona serata 🌼

    1. Non mollerò, le passioni non si possono abbandonare ma ho bisogno di una pausa per capire se posso ancora riuscire a comunicare qualcosa e metterci me stessa in quegli scatti (come fino ad ora ho fatto) in un mondo in cui forse non ne vale poi così tanto la pena, perché non in grado più di apprezzare l’impegno e la passione stessa. E’ tutto troppo, troppo finto, troppo conformato in cliché, troppo di apparenza e poco di sostanza. E io sono sostanza prima di tutto. Sicuramente le esperienze che ho descritto non hanno aiutato e giorno dopo giorno hanno ricoperto la mia passione di “stracci” maleodoranti e marci… Li toglierò uno alla volta e cercherò di ritrovare quel piacere innanzitutto di fermare un momento 🙂 buona serata anche a te e grazie!

  2. Sei hai deciso di mollare, molla. Forse sei stata(ingenua ed entusiasta, oltre che innamorata di ciò che facevi, giustamente) ma, non mollare la fotografia, almeno per te stessa; sarebbe una punizione. E’ un passaggio quello attuale che devi vivere, in tutta tranquillità. E probabilmente le immagini reali che sono oltre se se stesse, ti parleranno, per altri incontri. I miei non sono consigli, solo cose così tra chiacchierata e forse pensieri. Ciao

    1. Io mi innamoro sempre di ciò che faccio è il problema è proprio questo probabilmente. Mi sento come un’amante abbandonata perché il mio amore e troppo impegnato per camminarmi a fianco. Le passioni creative non si spengono, si assopiscono o forse, come in questo caso, vengono sedate da troppa superficialità ma tornano, prima o poi tornano 🙂

      1. Innanzitutto per te; esclusivamente, segretamente. epifanicamente per te. Chiaramente l’amore e la passione c’entrano eccome.🌹👏😊

  3. Ciao Barbara,
    ti ho letto,
    fino in fondo.
    Ti ho letto e ti capisco, forse neanche te lo immagini quanto sia in grado di capirti.
    Il tuo scrivere
    (che può essere chiamato: sfogo, denuncia, testimonianza)
    è solo la documentazione di ciò che accade, è sempre accaduto, e probabilmente continuerà ad accadere fino a quando gli obiettivi da raggiungere saranno quelli attuali.
    Nel 2007, con le mie denunce, ho mandato in crisi la redazione di National Geographic Italia relativamente al loro concorso fotografico che premiava (votata da una Giuria con la “G” maiuscola che si avvaleva di quotatissime figure nel campo della fotografia e non del verduraio o il panettiere all’angolo)
    Non faccio nomi perché non sta bene …ma, ovviamente non qui, posso fornirti anche i cognomi.
    Capisco il tuo sentire in ogni suo aspetto.
    Mi sono fidanzato con la Fotografia molti anni fa, ne ho fatta la mia professione, ma non ci siamo mai “sposati”; forse è per questo che il nostro bellissimo rapporto dura ancora dopo tanti anni.
    Ho molti aneddoti anch’io che potrei raccontarti e che a suo tempo mi amareggiarono
    (ce n’è uno che vorrei raccontarti molto volentieri ma non qui, e non ora.)
    Non ti suggerisco nessuna strada da intraprendere, conosco il male ma non conosco la cura, e poi, ognuno ha la sua fisiologia da considerare per la terapia necessaria.
    Ti rivolgo solo un attestato di stima, per quanto possa valere la stima di un illustre sconosciuto.
    alvaro poggiani
    alvaro@poggiani.net

    1. Per ogni male c’è una cura ed era giusto fare una sorta di “reportage” per restare in tema di ciò che sta accadendo… Cercherò la cura o forse l’antidoto e nel frattempo lascerò riposare la passione 🙂 Grazie!

  4. io ho smesso di fotografare anche se conservo la mia pentax me super e anche la chinon, tutte le analogiche, le bacinelle, l’ingranditore, gli obiettivi… ho smesso proprio in prossimità dell’arrivo del digitale. E ho scoperto due cose: si scatta troppo e inutilmente; le foto migliori sono quelle con gli occhi.
    Ma qualcosa della mia passione deve essere rimasta e l’hanno ereditata i figli, i quali, più o meno ne hanno fatto una professione

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